9 Novembre 2019
Chiuso per lutto
…da tanto questo blog è stato “fermo”…ho vissuto a pizza e piatti pronti in questi lunghi e faricosi mesi…avevo altre priorità….dovevo vivere la vita anche se era dolorissima Dovevo esserci.
Mio adorato nonno,
quando un anno fa ti portai al pronto soccorso
per un rapido controllo al cuore, che pareva non farti stare bene, venni
a casa sollevata del fatto che esso era perfettamente in salute e che
avremmo dovuto soltanto, con tutta calma, fare un tac per vedere meglio
quell’ombra sul polmone. Nonostante il tempo che non abbiamo perduto in
quel frangente, nella nostra ignoranza più assoluta di quel che stavamo
indagando, la risposta che emerse e che individuai da sola nei corridoi
dell’Ospedale di Cona, mi preoccupò e non poco. Solo qualche mese prima
eravamo stati lì con la nonna, vagando di dottore in dottore per cercare
una soluzione ai suoi problemi fastidiosi ma non gravi e ricordo di
aver visto diverse persone uscire dai reparti di oncologia con la testa
fasciata per nascondere la perdita dei capelli. “Per fortuna siamo in
altri reparti” ho pensato, quasi sentendomi in colpa per la stupida ed
infelice constatazione da me fatta. Ma purtroppo è onestamente in questo
modo che ho ragionato anche quello stesso giorno, quando in pneumologia
ti fecero la broncoscopia per accertare meglio. Mi sentivo lontana da
ogni imminente pericolo. Mi sentivo sulle spine ma sollevata per stare
indagando un qualcosa che si vedeva appena, che avremmo scovato e
curato, affidandoci alla competenza dei medici.
Tornammo a casa con
l’indicazione di farti bere e mangiare poco alla volta, dal tardo
pomeriggio, ma forse tu prendesti troppo alla lettera il consiglio e
bevesti davvero poco dal momento che, il giorno seguente, hai avuto
davanti ai miei occhi sconcertati una sincope dovuta, dissero i
sanitari, alla tua scarsa idratazione. La notte precedente avevi avuto
un po’ di febbre, l’anestesia da smaltire…io quella notte sognai Don
Marcello e credo con tutta me stessa che fu quel segno a farmi essere lì
quando ciò avvenne, per poter in tutta fretta chiamare l’automedica.
Quel giorno ho creduto tu mi stessi lasciando. Combattuta tra il panico
e il sangue freddo di fare il possibile per tenerti in vita, sollevata
non appena vidi i tuoi occhi riaprirsi e i tuoi muscoli rilassarsi, la
prima cosa che feci fu sfogare il mio pianto abbracciandoti e
supplicandoti: “non lasciarmi, nonno, non lasciarmi. Non lasciarmi
adesso”. Tu mi rispondesti con un filo di voce: “Non ti lascio
Francesca. Non voglio morire. So che hai bisogno di me”. Da quel
ricovero in ospedale non sei più stato lo stesso. Qualche allucinazione,
qualche momento di confusione, la graduale perdita della memoria: tutti
segni che, da una prima incredulità e preoccupazione nei tuoi
confronti, imparai ad accettare come segnale di una malattia di cui non
potevo parlare con nessuno e che gli altri, senza sapere, etichettavano
come demenza senile.
Nel frattempo giungevano, tuttavia, gli esiti
degli esami da te fatti, che io ti tenevo nascosti, e giunse
faticosamente anche il giorno in cui le dottoresse che li avevano
prescritti vollero incontrarci. Io mi feci fare da te la delega perché
eri appena stato dimesso e non volevo ascoltassi nulla di ciò che mi
sentivo essere un brutto presagio. Mi accompagnò mio marito. Ci venne
mostrata qualche slides della tua tac positiva, ci venne detto che avevi
un carcinoma inoperabile, al 4 stadio, l’ultimo, gravissimo. Così, come
se ci stessero dicendo che fuori era Autunno e avrebbe fatto presto
freddo.
Una doccia gelata ibernò ogni mio più piccolo pensiero
logico. Parlavano davvero di te? Come si permettevano di farlo in quel
modo? Era questo che volevano dirti in faccia, insistendo fino
all’ultimo che tu potessi venire per ascoltare? Come si può dire una
cosa simile ad un uomo anziano che ha tanto sofferto solo perché è
cosciente? Ma cosa significa quarto stadio, inoperabile, come poteva
essere vero se tu eri perfettamente in salute e in grado di fare ogni
cosa: guidare, cucinare, amministrare le tue cose, suonare, insegnare
musica ed essere il nostro pilastro da sempre? Scoppiai a piangere come
una fontana, per la rabbia di sentirmi in una trappola, in un inganno
meschino, un brutto scherzo. E se avessero confuso le carte? Ma le cure?
Era un’ombra, avevano detto, una piccola ombra. Come poteva essere lì
da tempo quell’ombra senza che io me ne fossi mai accorta? Tanti rimorsi
mi attraversarono il cuore come coltelli affilati, in particolar modo
la sensazione di colpevolezza per non essermi mai accorta di nulla, pur
dividendo con te gran parte di tutte le mie frenetiche ma felici
giornate. Ora, quell’ombra si insinuava tra noi, ed era molto, molto più
minacciosa di quello che fino a quel giorno avevo creduto.
Ovviamente iniziai ad indagare, a studiare, a mettere in discussione e a
prenotare colloqui e consulenze, sperando di sentirmi dire qualcosa di
differente. La parola “tumore”, che nella mia vita avevo quasi timore
anche solo di concepire nella mente e pronunciare, diveniva
inspiegabilmente familiare e mi risucchiava in un vortice che mi
terrorrizzava. Mi ritrovavo dall’altra parte, lì gettata violentemente e
improvvisamente da uno tsunami che non avevo minimante avvertito. Per
un’altra volta nella mia vita, ma questa con ancora più consapevolezza
vista la mia età adulta, sentivo che le parole chemioterapia,
radioterapia, metastasi, cure palliative….avrebbero dovuto riguardarci,
anche se non riuscivo ad accettarlo. Tu stavi bene, come potevano
parlarmi così, come osavano?
Ho pianto tanto, nonno. Ho pianto e
piango ancora, mentre scrivo questa lettera come un fiume in piena che
ho necessità urgente di far sgorgare dal mio cuore.
Ho cercato e
trovato conforto nella preghiera e sono stata ascoltata. Ho chiesto di
poterti avere con me in salute ancora, da quell’Autunno, per festeggiare
con te il Natale, il mio compleanno e quello di mio figlio, la sua S.
Comunione, la fine delle scuole elementari permia figlia e il suo
compleanno, e ogni momento che ci è stato ancora possibile.
Ad ogni
medico che ho incontrato sul percorso, ho espresso la mia indiscussa
volontà di non aggredirti con le cure. “Quanto ne potremmo guadagnare?”
“Qualche mese” “Ma lei cosa farebbe se fosse suo padre?” “Se dovessi
fare solo il medico le direi che dovremmo affrontare le cure, ma siccome
un medico deve essere anche un uomo e guardare alla totalità della
persona e non solo alla malattia penso che, in questo caso, davanti a un
uomo di quasi 90 anni con comorbidità, la qualità della vita diventi
più importante della quantità… e allora sì, se fosse mio padre, lo
lascerei in pace.” – mi è stato risposto dai sanitari più empatici che
ho incontrato.
Non ho dormito per mesi. La tenaglia del dubbio mi
stringeva in una morsa che non mi dava tregua. Poi, dopo tantissimi
confronti, tantissimi pianti, tantissime preghiere… ho capito quale era
la strada da percorrere: non metterti paura, ansia, non farti soffrire
ulteriormente per qualcosa che non ti avrebbe riservato un finale
differente. E’ stato crudele tenermi questo orribile segreto dentro e
decidere per te…Mi sono chiesta tante volte se avresti preferito
saperlo, avere la possibilità di lottare, io sicuramente mi sarei
sentita più leggera, anche se avevo il terrore della sofferenza che
avremmo dovuto affrontare….Ma sapendo che era una lotta impari, che
avremmo comunque perso, ho voluto risparmiarti il terrore che io stavo
provando e il dolore che la consapevolezza di lasciare me, mio fratello,
la nonna e i bambini ti avrebbe procurato.
Tu, che hai sempre
pensato a tutto per noi. Tu, che non mi hai fatto mancare nulla. Tu, che
mi hai dato sempre più di quanto avremmo potuto permetterci. Tu che mi
hai sempre donato soprattutto affetti e valori, ma anche ciò che di
materiale ti chiedevo. Tu che non mi hai mai rinfacciato nulla. Tu che
non mi hai mai fatto pesare nulla. Tu che in 86 anni non mi hai mai
detto una volta: non sto bene, aiutami. Tu che non mi hai mai chiesto
niente, nemmeno di andarti a comprare una cassa d’acqua al supermercato.
Tu che ti sei sempre arrangiato, che non mi hai mai mostrato un segno
di cedimento, nemmeno quando hai perso una figlia e ti sei trovato a
crescere un’adolescente furiosa e delusa dalla vita e da tutto. Tu che
mi hai sempre dato fiducia. Tu che mi hai sempre dato una possibilità.
Tu che mi hai sempre concesso la libertà. Tu che mi hai sempre
perdonato. Tu che non hai mai alzato la voce con me, ma che sei stato un
esempio impeccabile di autorevolezza con il tuo tono pacato e garbato.
Tu che non hai mai usato una parola cattiva, ma che sei stato l’esempio
più grande di gentilezza e nobiltà che io abbia mai avuto. Tu che sei
sempre stato corretto e che mi hai insegnato quanto sia importante
l’onestà, soprattutto intellettuale. Tu che ci sei sempre stato. Tu che
non mi hai mai dato un consiglio se non ti era richiesto. Tu che ti si
sempre fatto da parte, senza farlo apparire come un sacrificio. Tu che
mi hai lasciato spiccare il volo e hai sostenuto tutto il peso sulle tue
spalle curve. Tu, che sei stato il mio primo confidente, al quale ho
detto tutto, senza mai essere giudicata. Come potevo non dirti questo?
Come potevo tradirti in qualche modo, mentirti, non metterti al corrente
di una cosa così tanto importante per la tua vita?
Perdonami nonno,
se ho sbagliato. E’ stato il mio più grande atto d’amore per te.
Tenermi questo macigno dentro, lasciare che mi affondasse ogni giorno di
più insieme a te, essere divorata dalla paura e dai rimorsi, ma anche
rincuorata del fatto che le mie preghiere erano state ascoltate.
Per
un anno hai continuato ad essere una persona apparentemente in salute, e
nessuno poteva credere alle mie fatiche e al mio dolore pungente. Solo
ultimamente si poteva percepire che qualcosa ti stava divorando
lentamente: eri magrissimo, stanco, a volte non lucido.
Non è stato
facile limitare la tua libertà in questi mesi: i giri dal dottore, in
farmacia, fino alla spesa, togliendoti la macchina, le scale…Mi sono
fatta in 4, insieme a mio fratello, per non farvi mancare nulla: una
casa pulita, i tuoi piatti preferiti a pranzo e cena, le medicine, il
riposo che meritate ma soprattutto la nostra presenza e il nostro
affetto. Quando non ero con te, stavo pensando a te, pregando per te,
piangendo per te. E per me. Per noi due. Che siamo un’entità sola,
quasi, come una figlia e un padre, una figlia e una madre, perché questo
sei stato per me, perché tu sei parte di lei, e io non ci sarei senza
te, senza la tua sofferenza, non sarei quella che sono se mi avesse
cresciuto qualcun altro. In questi ultimi mesi, prigioniero nella tua
casa, ti ho trovato qualche volta insofferente, forse anche arrabbiato
con me, nascosto in un angolo a piangere.
Ho pensato
ininterrottamente a quanto questa malattia sia subdola e malvagia: la
scopri che sei già fuori tempo massimo, ti trovi faccia a faccia con la
consapevolezza che la clessidra è stata già girata e puoi solo guardare i
granelli scendere e decidere cosa fare in questo tempo. La malattia
cambia le priorità del cuore, sovverte i ritmi della mente, fa
chiaramente comprendere che nulla è controllabile da noi se non la
possibilità di godere di ogni cosa, di dimostrare l’amore a chi vogliamo
e di essere grati per ciò che abbiamo ricevuto. Ma ci fa anche
impazzire. Io lo so che avevi voglia di vivere e mi sembrava così
ingiusto che questo male ti dovesse portare via da me. Cercando di
allontanare questi pensieri, ti ho abbracciato fino a stritolarti, ti ho
coccolato e seguito come avrebbe fatto una madre con un figlio, e a
volte ho dovuto recitare la parte di quella che prende delle decisioni a
te sgradite. Mi sono chiesta sempre, 1000 volte e più, se stavo facendo
bene, se stavo facendo il “meglio”. Spesso non sono riuscita a dormire
poiché questi pensieri mi attanagliavano, ma di giorno cercavo sempre di
farmi tornare il sorriso, di farti capire con i miei baci e i miei
abbracci quanto sei importante per me e per i bambini. Non sarà mai
abbastanza per ripagarti, ma io ho scelto di esserci, molto prima che tu
ti ammalassi. Ringrazio Dio per questo tempo insieme, tutto, quello
prima della malattia, così spensierato e dolce, soprattutto da quando
sei diventato bisnonno…e quello che abbiamo avuto adesso, per dirci
tutto, per ringraziarci di tutto, per quando mi dici che, anche da
lontano, ci sarai sempre per me. Tra noi non ci sono rimpianti, abbiamo
capito troppo presto cosa significa perdere chi amiamo e a dare
importanza alla vita.
quando un anno fa ti portai al pronto soccorso
per un rapido controllo al cuore, che pareva non farti stare bene, venni
a casa sollevata del fatto che esso era perfettamente in salute e che
avremmo dovuto soltanto, con tutta calma, fare un tac per vedere meglio
quell’ombra sul polmone. Nonostante il tempo che non abbiamo perduto in
quel frangente, nella nostra ignoranza più assoluta di quel che stavamo
indagando, la risposta che emerse e che individuai da sola nei corridoi
dell’Ospedale di Cona, mi preoccupò e non poco. Solo qualche mese prima
eravamo stati lì con la nonna, vagando di dottore in dottore per cercare
una soluzione ai suoi problemi fastidiosi ma non gravi e ricordo di
aver visto diverse persone uscire dai reparti di oncologia con la testa
fasciata per nascondere la perdita dei capelli. “Per fortuna siamo in
altri reparti” ho pensato, quasi sentendomi in colpa per la stupida ed
infelice constatazione da me fatta. Ma purtroppo è onestamente in questo
modo che ho ragionato anche quello stesso giorno, quando in pneumologia
ti fecero la broncoscopia per accertare meglio. Mi sentivo lontana da
ogni imminente pericolo. Mi sentivo sulle spine ma sollevata per stare
indagando un qualcosa che si vedeva appena, che avremmo scovato e
curato, affidandoci alla competenza dei medici.
Tornammo a casa con
l’indicazione di farti bere e mangiare poco alla volta, dal tardo
pomeriggio, ma forse tu prendesti troppo alla lettera il consiglio e
bevesti davvero poco dal momento che, il giorno seguente, hai avuto
davanti ai miei occhi sconcertati una sincope dovuta, dissero i
sanitari, alla tua scarsa idratazione. La notte precedente avevi avuto
un po’ di febbre, l’anestesia da smaltire…io quella notte sognai Don
Marcello e credo con tutta me stessa che fu quel segno a farmi essere lì
quando ciò avvenne, per poter in tutta fretta chiamare l’automedica.
Quel giorno ho creduto tu mi stessi lasciando. Combattuta tra il panico
e il sangue freddo di fare il possibile per tenerti in vita, sollevata
non appena vidi i tuoi occhi riaprirsi e i tuoi muscoli rilassarsi, la
prima cosa che feci fu sfogare il mio pianto abbracciandoti e
supplicandoti: “non lasciarmi, nonno, non lasciarmi. Non lasciarmi
adesso”. Tu mi rispondesti con un filo di voce: “Non ti lascio
Francesca. Non voglio morire. So che hai bisogno di me”. Da quel
ricovero in ospedale non sei più stato lo stesso. Qualche allucinazione,
qualche momento di confusione, la graduale perdita della memoria: tutti
segni che, da una prima incredulità e preoccupazione nei tuoi
confronti, imparai ad accettare come segnale di una malattia di cui non
potevo parlare con nessuno e che gli altri, senza sapere, etichettavano
come demenza senile.
Nel frattempo giungevano, tuttavia, gli esiti
degli esami da te fatti, che io ti tenevo nascosti, e giunse
faticosamente anche il giorno in cui le dottoresse che li avevano
prescritti vollero incontrarci. Io mi feci fare da te la delega perché
eri appena stato dimesso e non volevo ascoltassi nulla di ciò che mi
sentivo essere un brutto presagio. Mi accompagnò mio marito. Ci venne
mostrata qualche slides della tua tac positiva, ci venne detto che avevi
un carcinoma inoperabile, al 4 stadio, l’ultimo, gravissimo. Così, come
se ci stessero dicendo che fuori era Autunno e avrebbe fatto presto
freddo.
Una doccia gelata ibernò ogni mio più piccolo pensiero
logico. Parlavano davvero di te? Come si permettevano di farlo in quel
modo? Era questo che volevano dirti in faccia, insistendo fino
all’ultimo che tu potessi venire per ascoltare? Come si può dire una
cosa simile ad un uomo anziano che ha tanto sofferto solo perché è
cosciente? Ma cosa significa quarto stadio, inoperabile, come poteva
essere vero se tu eri perfettamente in salute e in grado di fare ogni
cosa: guidare, cucinare, amministrare le tue cose, suonare, insegnare
musica ed essere il nostro pilastro da sempre? Scoppiai a piangere come
una fontana, per la rabbia di sentirmi in una trappola, in un inganno
meschino, un brutto scherzo. E se avessero confuso le carte? Ma le cure?
Era un’ombra, avevano detto, una piccola ombra. Come poteva essere lì
da tempo quell’ombra senza che io me ne fossi mai accorta? Tanti rimorsi
mi attraversarono il cuore come coltelli affilati, in particolar modo
la sensazione di colpevolezza per non essermi mai accorta di nulla, pur
dividendo con te gran parte di tutte le mie frenetiche ma felici
giornate. Ora, quell’ombra si insinuava tra noi, ed era molto, molto più
minacciosa di quello che fino a quel giorno avevo creduto.
Ovviamente iniziai ad indagare, a studiare, a mettere in discussione e a
prenotare colloqui e consulenze, sperando di sentirmi dire qualcosa di
differente. La parola “tumore”, che nella mia vita avevo quasi timore
anche solo di concepire nella mente e pronunciare, diveniva
inspiegabilmente familiare e mi risucchiava in un vortice che mi
terrorrizzava. Mi ritrovavo dall’altra parte, lì gettata violentemente e
improvvisamente da uno tsunami che non avevo minimante avvertito. Per
un’altra volta nella mia vita, ma questa con ancora più consapevolezza
vista la mia età adulta, sentivo che le parole chemioterapia,
radioterapia, metastasi, cure palliative….avrebbero dovuto riguardarci,
anche se non riuscivo ad accettarlo. Tu stavi bene, come potevano
parlarmi così, come osavano?
Ho pianto tanto, nonno. Ho pianto e
piango ancora, mentre scrivo questa lettera come un fiume in piena che
ho necessità urgente di far sgorgare dal mio cuore.
Ho cercato e
trovato conforto nella preghiera e sono stata ascoltata. Ho chiesto di
poterti avere con me in salute ancora, da quell’Autunno, per festeggiare
con te il Natale, il mio compleanno e quello di mio figlio, la sua S.
Comunione, la fine delle scuole elementari permia figlia e il suo
compleanno, e ogni momento che ci è stato ancora possibile.
Ad ogni
medico che ho incontrato sul percorso, ho espresso la mia indiscussa
volontà di non aggredirti con le cure. “Quanto ne potremmo guadagnare?”
“Qualche mese” “Ma lei cosa farebbe se fosse suo padre?” “Se dovessi
fare solo il medico le direi che dovremmo affrontare le cure, ma siccome
un medico deve essere anche un uomo e guardare alla totalità della
persona e non solo alla malattia penso che, in questo caso, davanti a un
uomo di quasi 90 anni con comorbidità, la qualità della vita diventi
più importante della quantità… e allora sì, se fosse mio padre, lo
lascerei in pace.” – mi è stato risposto dai sanitari più empatici che
ho incontrato.
Non ho dormito per mesi. La tenaglia del dubbio mi
stringeva in una morsa che non mi dava tregua. Poi, dopo tantissimi
confronti, tantissimi pianti, tantissime preghiere… ho capito quale era
la strada da percorrere: non metterti paura, ansia, non farti soffrire
ulteriormente per qualcosa che non ti avrebbe riservato un finale
differente. E’ stato crudele tenermi questo orribile segreto dentro e
decidere per te…Mi sono chiesta tante volte se avresti preferito
saperlo, avere la possibilità di lottare, io sicuramente mi sarei
sentita più leggera, anche se avevo il terrore della sofferenza che
avremmo dovuto affrontare….Ma sapendo che era una lotta impari, che
avremmo comunque perso, ho voluto risparmiarti il terrore che io stavo
provando e il dolore che la consapevolezza di lasciare me, mio fratello,
la nonna e i bambini ti avrebbe procurato.
Tu, che hai sempre
pensato a tutto per noi. Tu, che non mi hai fatto mancare nulla. Tu, che
mi hai dato sempre più di quanto avremmo potuto permetterci. Tu che mi
hai sempre donato soprattutto affetti e valori, ma anche ciò che di
materiale ti chiedevo. Tu che non mi hai mai rinfacciato nulla. Tu che
non mi hai mai fatto pesare nulla. Tu che in 86 anni non mi hai mai
detto una volta: non sto bene, aiutami. Tu che non mi hai mai chiesto
niente, nemmeno di andarti a comprare una cassa d’acqua al supermercato.
Tu che ti sei sempre arrangiato, che non mi hai mai mostrato un segno
di cedimento, nemmeno quando hai perso una figlia e ti sei trovato a
crescere un’adolescente furiosa e delusa dalla vita e da tutto. Tu che
mi hai sempre dato fiducia. Tu che mi hai sempre dato una possibilità.
Tu che mi hai sempre concesso la libertà. Tu che mi hai sempre
perdonato. Tu che non hai mai alzato la voce con me, ma che sei stato un
esempio impeccabile di autorevolezza con il tuo tono pacato e garbato.
Tu che non hai mai usato una parola cattiva, ma che sei stato l’esempio
più grande di gentilezza e nobiltà che io abbia mai avuto. Tu che sei
sempre stato corretto e che mi hai insegnato quanto sia importante
l’onestà, soprattutto intellettuale. Tu che ci sei sempre stato. Tu che
non mi hai mai dato un consiglio se non ti era richiesto. Tu che ti si
sempre fatto da parte, senza farlo apparire come un sacrificio. Tu che
mi hai lasciato spiccare il volo e hai sostenuto tutto il peso sulle tue
spalle curve. Tu, che sei stato il mio primo confidente, al quale ho
detto tutto, senza mai essere giudicata. Come potevo non dirti questo?
Come potevo tradirti in qualche modo, mentirti, non metterti al corrente
di una cosa così tanto importante per la tua vita?
Perdonami nonno,
se ho sbagliato. E’ stato il mio più grande atto d’amore per te.
Tenermi questo macigno dentro, lasciare che mi affondasse ogni giorno di
più insieme a te, essere divorata dalla paura e dai rimorsi, ma anche
rincuorata del fatto che le mie preghiere erano state ascoltate.
Per
un anno hai continuato ad essere una persona apparentemente in salute, e
nessuno poteva credere alle mie fatiche e al mio dolore pungente. Solo
ultimamente si poteva percepire che qualcosa ti stava divorando
lentamente: eri magrissimo, stanco, a volte non lucido.
Non è stato
facile limitare la tua libertà in questi mesi: i giri dal dottore, in
farmacia, fino alla spesa, togliendoti la macchina, le scale…Mi sono
fatta in 4, insieme a mio fratello, per non farvi mancare nulla: una
casa pulita, i tuoi piatti preferiti a pranzo e cena, le medicine, il
riposo che meritate ma soprattutto la nostra presenza e il nostro
affetto. Quando non ero con te, stavo pensando a te, pregando per te,
piangendo per te. E per me. Per noi due. Che siamo un’entità sola,
quasi, come una figlia e un padre, una figlia e una madre, perché questo
sei stato per me, perché tu sei parte di lei, e io non ci sarei senza
te, senza la tua sofferenza, non sarei quella che sono se mi avesse
cresciuto qualcun altro. In questi ultimi mesi, prigioniero nella tua
casa, ti ho trovato qualche volta insofferente, forse anche arrabbiato
con me, nascosto in un angolo a piangere.
Ho pensato
ininterrottamente a quanto questa malattia sia subdola e malvagia: la
scopri che sei già fuori tempo massimo, ti trovi faccia a faccia con la
consapevolezza che la clessidra è stata già girata e puoi solo guardare i
granelli scendere e decidere cosa fare in questo tempo. La malattia
cambia le priorità del cuore, sovverte i ritmi della mente, fa
chiaramente comprendere che nulla è controllabile da noi se non la
possibilità di godere di ogni cosa, di dimostrare l’amore a chi vogliamo
e di essere grati per ciò che abbiamo ricevuto. Ma ci fa anche
impazzire. Io lo so che avevi voglia di vivere e mi sembrava così
ingiusto che questo male ti dovesse portare via da me. Cercando di
allontanare questi pensieri, ti ho abbracciato fino a stritolarti, ti ho
coccolato e seguito come avrebbe fatto una madre con un figlio, e a
volte ho dovuto recitare la parte di quella che prende delle decisioni a
te sgradite. Mi sono chiesta sempre, 1000 volte e più, se stavo facendo
bene, se stavo facendo il “meglio”. Spesso non sono riuscita a dormire
poiché questi pensieri mi attanagliavano, ma di giorno cercavo sempre di
farmi tornare il sorriso, di farti capire con i miei baci e i miei
abbracci quanto sei importante per me e per i bambini. Non sarà mai
abbastanza per ripagarti, ma io ho scelto di esserci, molto prima che tu
ti ammalassi. Ringrazio Dio per questo tempo insieme, tutto, quello
prima della malattia, così spensierato e dolce, soprattutto da quando
sei diventato bisnonno…e quello che abbiamo avuto adesso, per dirci
tutto, per ringraziarci di tutto, per quando mi dici che, anche da
lontano, ci sarai sempre per me. Tra noi non ci sono rimpianti, abbiamo
capito troppo presto cosa significa perdere chi amiamo e a dare
importanza alla vita.
Sei la persona migliore che io abbia mai
conosciuto, nonno, quella di cui mi fidavo di più al mondo. Sei stato il
mio biglietto da visita nel mondo, per fare sempre bella figura. Non ho
mai voluto deluderti, ce l’ho sempre mesa tutta per non recarti
dispiaceri, preoccupazioni, o per non farti vergognare mai di me. “Sono
la nipote di K.” ho sempre detto con fierezza, per farmi aprire le
porte. E così le ho sempre trovate spalancate.
Sarà dura stare senza
te. Sarà buio pesto camminare per un sentiero in cui dietro di me non
resta quasi più nulla. Guarderò in avanti, dove ho ancora tanto. E ti
troverò, lo so. Anche se non sarò più figlia. O forse no, lo sarò
sempre. Perché tu sei rimasto un nonno, una madre, un padre, per me. Tu
rimarrai per sempre tutto quello che mi hai dato anche se forse non l’ho
meritato. Spero che sarai un po’ fiero di me e che, soprattutto, mi
perdonerai per quello che non sono riuscita a fare, a gestire al meglio,
a prevenire, a combattere. Perdonami, se puoi, per averti portato in
ospedale quando tutto stava diventando più forte di me. Per averti
portato in mezzo ad estranei per cui sei stato, forse, solo un malato
qualunque, un vecchio qualunque, un numero di stanza, un paziente
“difficile”. Questa scelta quasi obbligata mi continua a lacerare, a
sgretolare il cuore, ad annodarmi la gola. Lo farà per lungo tempo
ancora. Non mi darà pace. Perché tu non sei uno qualunque, nessuno lo è,
ma tu sei stato veramente speciale per chiunque abbia avuto la fortuna e
l’onore di conoscerti.
Ti voglio bene, nonno. Cercherò di lasciarti
andare, adesso, perché tu possa fare buon viaggio, libero da tutte le
catene…per raggiungere la tua indimenticata figlia, mia mamma,
lasciandoti andare alla luce senza soffrire e combattere per me. Io me
la caverò. Mi hai dato tutto quel che potevi e avevi, di più non si può.
Grazie!!!!!!!!!! Infinitamente grazie!!!!!!! E arrivederci, nonno,
perché tutto questo amore non può andare sprecato. E non lo sarà,
prometto. Sarò forte.
Ogni volta che sentirò un clarino suonare o
un pianoforte intonare Per Elisa penserò a te, stanne certo. Sarà la tua
voce che mi guida. Grazie per essere stato musica nella mia vita e in
quella dei miei bambini, per avermi insegnato che la musica è un’ancora
di salvezza dove mi rifugerò ancora e sempre per cercarti e ritrovarti,
anima purissima, ultimo dei gentiluomini, persona straordinaria.
Dio ti avrà in gloria ed io mai ti dimenticherò, foss’anche per un
giorno. Non soffrire più. Vola libero verso la Luce che meriti.
(Possa questa lettera essere una carezza per il tuo cuore e
per quello di tutti coloro che stanno combattendo)
per quello di tutti coloro che stanno combattendo)
♥️🙏
Ti abbraccio forte e ti sono vicina in questo momento di grande ed immenso dolore.
Quanto dolore che traspare..ma traspare anche altro.quanto AMORE!!che lui ti ha donato e che tu hai accolto e ricambiato.vivi di e per questo amore..nel suo nome.un abbraccio
Quelli che amiamo si spostano solo in un'altra "stanza", nel nostro tempo e nei nostri spazi rimane quel grande amore che hanno saputo donarci. Coraggio Francesca, lui sarà sempre con te. Un forte abbraccio
Carissima, mi dispiace tantissimo…Ci eravamo affezionati anche noi a questo nonno speciale, ognivolta che gli dedicavi un dolce o una dedica. Traspariva sempre dalle tue parole tutto quello che c'era dietro, nel tuo passato e nel tuo presente con i bimbi che ti ha aiutato a crescere…
Dispiace davvero anche a me leggere questo dolore…
Ti abbraccio forte, anche se non ci conosciamo
Condoglianze e un grande abbraccio…lui però sarà sempre un angelo al tuo fianco, non ti lascerà mai!
mi dispiace tanto………….ti abbraccio forte <3
Condoglianze, io non ho vissuto con i nonni, erano già morti quando sono nata io, credo che siano molto importanti e ti lasciano un grande vuoto.
Condoglianze per la perdita del nonno, un pilastro della tua vita. Spero che lui ti guido sempre da lassù. Ti aspettiamo.
Ti abbraccio forte, un dolore immenso che solo l'immenso amore che vi unisce, che resterà per sempre, ti darà la forza di andare avanti!!!
Mi dispiace tanto, è sempre doloroso staccarsi dai propri cari. L'amore però non passa, possa esserti di conforto per ricominciare. Un abbraccio
Ti mando un grande abbraccio.
Un anno fa ho perso mio padre, sono dolori enormi che non spariscono mai ❤